È tempo di lasciare l’Ecuador. Ci rilassiamo un paio d’ore in albergo e poi partiamo verso l’aeroporto di Guayaquil, di recente costruzione.

Il volo IB6464 è previsto alle 21. Anche stavolta le mie speranze di vedere il panorama (o le nuvole, non meno affascinanti per me) vanno doppiamente deluse: mi appioppano un 10G per il Guayaquil–Madrid ed un 23E per il Madrid–Milano

. Comincio a pensare che l’Iberia faccia apposta a castigare chi chiede il finestrino incastrandolo nei posti centrali

. Mentre medito di non ricapitare mai più tra le loro grinfie, mi chiamano al gate e mi spediscono senza troppi complimenti al piano di sotto (come fanno a sapere che non capisco un’h di spagnolo? Due parole potrebbero dirle

).
Più affabili della signorina del gate si rivelano gli agenti. Dopo aver indagato se Antonella sia il nome o il cognome

, scovano ed annusano tutti i souvenir ben impacchettati ed infilati tra i vestiti per essere protetti dagli urti, ridendo sempre più man mano che vedono casette di gesso, presepe etnico, bambolina di paglia, animaletti di avorio vegetale e… sassi

raccolti sul Cotopaxi e nel Cajas. Alla fine ributtano tutto dentro alla rinfusa (aaargh!!!) e avanti il prossimo.
Mentre attendo di essere riaccompagnata su, di fronte a me arriva Maria Guerrero (EC–HGV), l’A340–300 che mi riporterà in Europa. È una prospettiva inconsueta: stiro il collo per rimirarlo, con l’addetto che mi sorveglia come un cane pastore. Ovviamente vorrei fare qualcosa di più

… chiedere non costa nulla e quello mi dice pure di sì, ma solo perché non ha capito ciò che ho detto

: infatti cambia idea e mi blocca non appena spunta la fotocamera

.
Pazienza. Non appena mi riaccompagnano ripeto il giro di controlli, salgo e… vedo Angelo che mi corre incontro: al gate mi chiamano da un pezzo. Ma se mi hanno mandata giù loro un quarto d’ora fa, come pensano che possa ripresentarmi subito dopo?

Stavolta la signorina dell’Iberia mi sostituisce la carta d’imbarco, rifilandomi senza spiegazione alcuna l’equifetente 19E: neppure più la Franca accanto per fare due chiacchiere. Scalo qualche altro punto alla quotazione di Iberia; nel frattempo l’imbarco è differito perché un paio di persone chiamate per i controlli latitano. Mezz’ora dopo spostano anche Franca –di nuovo vicine– e a richiesta si scopre che si tratta di favorire dei ricongiungimenti familiari. Ok, intento lodevole, ma pensarci al check–in, no?
Non è finita. Abbandonate le speranze di reperire i due passeggeri chiamati almeno 10 volte, imbarcano; io e la Franca ci sistemiamo con gli zaini ed il suo pacchetto dei pannelli di ceramica tra i piedi perché nonostante molti posti siano ancora vuoti, le cappelliere traboccano. A questo punto compare un bambino sugli 8–10 anni che punta il dito verso di me e inizia a piagnucolare

. Dietro di lui un ragazzina più grandicella, poi rivelatasi la sorella, fa altrettanto. Sono perplessa: sbircio le loro carte d’imbarco (19 G ed H), mostro la mia e non vedo il problema. I due spariscono e tornano accompagnati dallo steward che chiede a me e Franca se viaggiamo insieme.

Io sarei conciliante e sentirei la sua proposta, ma la Franca (col pensiero al suo fragile bagaglio) lo incenerisce con un’occhiata. Col senno di poi sarebbe stato meglio assecondare il bambino: con la mamma sistemata nella fila dietro s’è agitato per 11 ore voltandosi di continuo e sconfinando spesso sul 19E, e non era esattamente uno scricciolo

.
I monitor comuni restano spenti fino a mezz’ora dall’atterraggio quando viene mostrata la rotta: una linea pressoché retta da Quito a Madrid. La discesa è rapida, l’atterraggio liscio come l’olio. Questa è Maria Guerrero all’arrivo:

E questo è di nuovo il T4 di Barajas, con un particolare della copertura:

Si riparte col volo IB3642 delle 16:10. L’aereo è l’A319 EC–KBJ, imbarco dal gate K91 che essendo tra gli ultimi in fondo all’edificio mi permette di ammirare per intero la bella struttura

.

Mi perdonerete se non concludo con un’immagine della Malpensa: tempo ce ne sarebbe stato, grazie a qualche disguido con i bagagli, ma il paragone con Barajas mi è sembrato impietoso

. Mentre ci avviamo verso casa in pullman si intrecciano i saluti, gli scambi di recapiti e le rievocazioni degli episodi più divertenti, delle emozioni più intense. Qualche rimpianto? Uno, piccolo: speravo di vedere il Pacifico, ma ci sarebbe voluto troppo tempo: tra Guayaquil e la costa ci sono “due ore di mangrovie”, mi han detto. Sarà per il prossimo viaggio!
Dimenticavo: qualcuno si starà chiedendo… e le Galapagos?!? Meritano un viaggio a sé, e lo farò senz’altro se mi capiterà l’occasione. Ma se avete avuto la pazienza di leggermi fin qui, penso d’aver mostrato che l’Ecuador ha molto altro da offrire

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