Appuntamento in Aeroclub alle 08:30. Trovo il Presidente, Eugenio Poggini, ad attendermi. Fuori dal cancello due auto con un grande carrello ognuna. Riconosco quella di Alberto Melis, pilota e proprietario della Mongolfiera I-APIS, e con sorpresa vedo che c’è n’è un’altra! Alberto valuta il vento, che sarà il nostro motore, e decide di decollare non dall’aeroporto, ma da uno degli altri 12 punti individuati con il Comune di Padova, in modo da attraversare il centro della città. Ci portiamo allo stadio Euganeo, a nordest, dove un enorme prato ghiacciato ci attende.
Appena arrivati la prima operazione consiste nel lasciare che un palloncino salga verso il cielo, per valutare la direzione e l’intensità del vento. Il palloncino sale verso la direzione voluta, ma ad un centinaio di metri di quota piega verso sud, in direzione dell’aeroporto. Bisognerà restare bassi per andare sulla città. Inizia la preparazione. Dal carrello si scarica il cesto ed il sacco che contiene la tela del pallone.

Sul piano di carico esterno del pick-up si trovano invece le bombole che alimenteranno i bruciatori, destinati a scaldare l’aria all’interno del pallone consentendoci così di salire.

Le bombole sono 4, e vanno posizionate ai 4 angoli del cesto. Verranno poi collegate tramite altrettanti tubi ai due bruciatori.

I due bruciatori vengono montati sopra il cesto. La struttura interna del cesto in tubi di acciaio viene collegata in quattro punti alla struttura del bruciatore, ed assicurata con 8 cavetti d’acciaio e 4 robusti moschettoni con ghiera di sicurezza a vite.

Si inizia a srotolare la tela del pallone davanti al cesto, in modo che sia allineata con il vento.

Una volta fissato il pallone al cesto, ancora una volta con cavetti di acciaio, si inizia a gonfiare il pallone. La prima parte viene fatta con l’ausilio di un ventilatore alimentato da un piccolo motore a scoppio, mentre si tiene aperta a mano l’imboccatura.


Appena possibile Riccardo, il figlio di Alberto, passa all’interno del pallone per iniziare a sistemare quello che in gergo viene chiamato paracadute, per la sua forma e per i cavetti che lo collegano al cesto, destinato a chiudere la parte superiore del pallone, che si può aprire per sgonfiare la mongolfiera o per eventuali situazioni di emergenza. Questa tela, più ampia del foro, verrà alla fine tenuta in posizione dalla pressione dell’aria calda all’interno del pallone. Intanto viene fissata con del velcro.

Il pallone inizia a gonfiarsi…

Riccardo, all’esterno, chiude definitivamente il foro superiore, permettendo così il gonfiaggio.

Le due mongolfiere iniziano a prendere forma. Alberto mi racconta che la mongolfiera bianca dell’amica Donatella Ricci è stata utilizzata anche per le riprese di un film Disney.

E’ ora il momento di iniziare a scaldare l’aria all’interno del pallone. I bruciatori delle due mongolfiere iniziano il loro lavoro, mentre il cesto è ancora adagiata su un fianco.

E finalmente I-APIS e G-ZINT si mostrano in tutto il loro splendore. Coloratissima la prima, bianco candido la seconda. Le bandiere europea, italiana, e della Serenissima decorano I-APIS, mentre su G-ZINT, nonostante le matricole inglesi, si trovano la bandiera italiana e quella delle Federazione Italiana di Volo Aerostatico, di cui Donatella è Presidente.

Siamo pronti al decollo. Eugenio ha comunicato via telefono il piano di volo all’AFIS di Padova, che contatteremo appena in volo. Salgo a bordo del cesto, scavalcando il bordo, ed alzo gli occhi verso l’enorme pallone…

Ancora qualche fiammata dei potenti bruciatori, e la mongolfiera si stacca dal suolo. Partiamo per primi, e veniamo velocemente raggiunti da G-ZINT, che si stacca dal suolo dietro di noi.



Alberto inizia a valutare il vento alle diverse quote, fino a trovare la quota corretta alla quale il vento ci porterà sulla città, che vogliamo attraversare completamente. Ci muoviamo nel letto del vento, alla sua stessa velocità, circa 3-4 nodi. Di conseguenza l’aria attorno a noi, dopo il decollo, diventa immobile. Mancando quel pur debole vento che sentivamo a terra, la sensazione è che sia diventato un po’ più caldo, tanto che sono costretto a slacciare la giacca a vento. Inizio a guardarmi intorno. Non è certo la prima volta che vedo Padova dall’alto, ma la bassa quota a cui viaggiamo (200 piedi), la velocità ridotta, ed il silenzio rotto solo dal bruciatore azionato da Alberto, seppur con una certa frequenza, ti fanno vivere questa esperienza di volo in modo totalmente diverso. La visibilità è ottima e una leggera foschia, molto bassa, contribuisce a rendere ancor più magica l’esperienza.



Un’occhiata alla strumentazione a bordo. A sinistra un termometro che, con una lunga sonda che arriva nel pallone, ci segnala la temperatura dell’aria nell’involucro. Al momento del decollo la temperatura era di 65°, ma in crociera è superiore ad 80°! Ed il consumo di gas è in effetti molto elevato, più di un litro al minuto. Al centro c’è un variometro, al momento spento visto che viaggiando così bassi la sensazione di salita o discesa è immediata, guardando fuori. Infine, a destra, un altimetro in piedi.

G-ZINT ci segue sempre da vicino, più o meno alla stessa quota.

Fotografo Alberto nella posizione di pilotaggio, la mano pronta ad azionare uno dei due bruciatori con i quali regola con estrema precisione la quota del pallone. La risposta alla fiammata con la salita della mongolfiera avviene un po’ in ritardo, ma in modo molto efficace.

A bordo ci sono due radio. Una sulla frequenza aeronautica sintonizzata sui 123.25 dell’ATZ di Padova, saldamente nelle mani del nostro Presidente, l’altra, non aeronautica, utilizzata per mantenere le comunicazioni con Riccardo che, dal suolo, ci segue con l’auto ed il carrello pronto a recuperarci una volta atterrati. Chi segue la mongolfiera viene chiamato “sherpa”, a sottolineare il ruolo di accompagnatore della spedizione, responsabile con il suo carrello del trasporto del mezzo.



Ci avviciniamo al Duomo di Padova, che supereremo passando molto vicini, alla stessa altezza della torre campanaria che, quasi a salutarci, inizierà a suonare fragorosamente proprio al nostro passaggio. Il Duomo, è famoso soprattutto per il Battistero, con affreschi di Giusto de' Menabuoi del 1376.



Alla nostra destra appare la torre della Specola, l’antico osservatorio astronomico di Padova. La Specola viene sempre associata, erroneamente, a Galileo Galilei, che ebbe la Cattedra di Matematica presso l’Università di Padova dal 1592 al 1610. In realtà, però, la Specola venne costruita solo tra il 1767 ed il 1777, modificando la torre esistente di Castel Vecchio

Il viaggio sul centro della città continua. Le persone a terra alzano gli occhi al cielo quando ci vedono passare, e ci salutano o ricambiano i nostri saluti. Siamo bassi, silenziosi, e scambiarsi gli auguri di Natale è facile. Alcuni, in auto, si affidano al clacson. Sulla sinistra appare quello che è probabilmente il monumento più famoso della città, la Basilica di Sant’Antonio, conosciuta semplicemente come Il Santo, che accoglie ogni anno centinaia di migliaia di pellegrini che giungono qui da tutto il mondo per rendere omaggio ad uno dei Santi più amati. La costruzione della Basilica inizio ad un solo anno dalla morte del Santo, avvenuta nel 1231.

Un po’ di fortuna, unita alle 800 ore di esperienza di Alberto sui palloni, ci permettere di dirigere proprio sulla piazza più grande d’Europa, Prato della Valle. Ci abbassiamo a sfiorare le cime dell'unico grande albero rimasti dopo che, una decina di anni fa, ne sono stati abbattuti la maggior parte. Il mercato, tradizionalmente svolto al sabato, permette ai padovani di fare gli ultimi acquisti di Natale in questa splendida piazza ovale, al cui centro, circondata dalle acque, si trova l’Isola Memmia, abbellita da 78 statue che rappresentano altrettanti personaggi celebri che hanno dato lustro alla città. Troviamo Antenore, il mitico fondatore di Padova, , il già citato Galileo, Torquato Tasso, Mantegna, Ariosto, Petrarca, Canova, e molti Papi.



G-ZINT ci segue sempre da vicino. È il momento di alzarsi, visto che di fronte a noi si staglia l’altra grande Basilica di Padova, Santa Giustina, che ospita le spoglie di San Luca Evangelista. Anche stavolta ne sfioriamo le cupole e l’alta torre, mentre sotto di noi sfilano i numerosi chiostri che la affiancano, essendo stata fin dal XV secolo un importante centro monastico.

Infine, sotto di noi scorre anche uno dei poderosi bastioni delle mura che circondavano la città, in alcuni punti ancora ben visibili e restaurate,che ci fanno rivivere gli antichi splendori della città.

E’ ora giunto il momento di pensare all’atterraggio. Oltrepassiamo il fiume Bacchiglione dove mandiamo gli ultimi saluti a chi passeggia o corre lungo l’argine approfittando della splendida giornata di sole. Davanti a noi un centro sportivo con un enorme prato sembra l’area adatta per l’atterraggio, dopo che abbiamo dovuto scartare un altro prato a causa di un antenna per cellulari che ci impediva la discesa. Alberto fa scendere ulteriormente il pallone, non senza prima aver evitato, anzi, preso con il cesto ma solo sulla morbida e flessibile punta, un pino che ancora una volta, come l’antenna, cerca di frapporsi tra noi ed il prato. L’atterraggio è senza dubbio l’unico momento brusco di un volo altrimenti confortevole, senza la minima scossa. La macchina fotografica viene quindi riposta e chiusa nella borsa. Alberto ci suggerisce di tenerci e di molleggiarsi sulle gambe per assorbire l’impatto, che non è comunque particolarmente elevato. Il debole vento ci fa ripartire ancora una volta dopo il primo contatto, ma al secondo tocco siamo fermi, con il cesto che trascinato dal pallone si inclina in avanti di circa 30°, senza ribaltarsi. Un po’ di confusione all’interno si risolve in pochi secondi. Siamo fermi. Alberto lascia che il pallone resti gonfio ed alto sopra di noi. Aiuterà Riccardo a trovarci. Dopo un po’, e dopo qualche indicazione precisa da parte del gentilissimo custode del Centro Sportivo Militare di Salboro, il pick-up appare per recuperare noi e la mongolfiera. Iniziano, al contrario, le operazioni per riporre la mongolfiera nel suo carrello. Si sgonfia il pallone, aprendo l’apertura in cima allo stesso, operazione che si fa dal cesto con l’apposita cima collegata al “paracadute”.


Mano a mano che il pallone si sgonfia, viene raccolto da Alberto, in modo da formare una lunga striscia, che verrà riposta nella sacca, non prima di aver scattato una foto di gruppo dell’equipaggio.



Riccardo si occupa del cesto e delle bombole, che verranno riposte nel pick-up, insieme ad una bombola di scorta che non è stata imbarcata.


L’ultimo a rientrare nel carrello è il cesto, che ha bisogno di 4 persone per essere sollevato e riposto all’interno. Il volo è terminato. Circa 30 minuti per preparare la mongolfiera, 1 ora di volo, ed altri 30 minuti per riporla nel carrello. Due ore indimenticabili che hanno avuto l’unico difetto di trascorrere troppo velocemente.